Il trattato di Meghillà si occupa principalmente delle regole della lettura pubblica e della scrittura del Libro biblico di Ester, la più conosciuta fra le meghillòt o rotoli del Tanàkh, noto come la Meghillà per antonomasia. Se esistono regole di lettura, significa che c'è uno scritto da cui leggere. Può sembrare ovvio, ma non lo era affatto per la Meghillà. Troviamo infatti un brano molto interessante nel quale "Ester mandò a dire ai Saggi: Scrivete la mia storia per tutte le generazioni, e che il libro sia incluso negli Agiografi". L'accettazione da parte dei Maestri, prosegue il brano, non avvenne senza ostacoli, tanto che la disputa riguardo l'inclusione della Meghillà di Ester nel canone biblico proseguì fino all'epoca dei Maestri della Mishnà. Nel nostro brano troviamo infatti diverse opinioni fino all'estendere la discussione anche ad altre Meghillòt. Una volta stabilito che la Meghillà fa parte del canone biblico, occorreva rimarcare che il suo status, come quello di tutti gli altri testi del Tanàkh che non fanno appunto parte della Torà, è tuttavia differente da quello dei libri della Torà. È forse in quest'ottica che possono essere letti gli insegnamenti relativi alla cucitura dei diversi fogli di pergamena che compongono il rotolo, rispettivamente, della Torà e della Meghillà e perfino alcune regole come quella sulla liceità di leggere la Meghillà da seduti o altre norme riportate nel cap. 3. Argomento affine a quello dell'inclusione della Meghillà nel canone biblico, e quindi all'obbligo della sua lettura, è il problema della traduzione dei testi biblici, sia per quanto riguarda la traduzione in aramaico che veniva fatta oralmente a beneficio dei partecipanti in occasione delle letture pubbliche, sia relativamente alla liceità della traduzione dei testi biblici in altre lingue. Relativamente alla prima questione, troviamo nel nostro trattato un elenco di passi che in pubblico non vanno tradotti, e alcuni neanche letti; sul secondo tema, invece, c'è una interessante tradizione relativa all'origine della traduzione della Torà, cosiddetta "dei Settanta": i dotti incaricati dell'opera, "nel cuore di ciascuno dei quali il Signore, benedetto Egli sia, mise il Suo consiglio", cambiarono volutamente la traduzione di alcuni passi rispetto al testo originale per motivi di opportunità. Dunque, il problema di tradurre è tema antico, così come lo è lo status particolare riconosciuto da alcuni Maestri al greco, ovvero alla lingua della cultura mondiale. Il trattato è uno dei più brevi e relativamente facili del Talmud e comprende numerose parti di Midràsh che interpretano il Libro di Ester dall'inizio alla fine. Una simile raccolta sistematica e ordinata di midrashìm è un unicum all'interno del Talmud Babilonese.
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Talmud Babilonese Giuntina 12 Volumi Sigillati.
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Sognate, innalzate, conquistate, distrutte; sono le città dell'antica Mesopotamia. All'interno dei loro perimetri si estendono gli imperi dell'Oriente fantastico e vivono le figure epiche protagoniste della Bibbia e della storia: Semiramide, Nino, Assurbanipal, Nabucodonosor, Alessandro Magno e altri. Si dirà allora delle monumentali mura, dei palazzi smaltati, dei giardini pensili. E ancora: di statue d'oro, di opere megalitiche, di torri e templi innalzati agli Dei; ma anche di sepolcri e luoghi di culto; testimoni di un passato quel quale oggi non sopravvivono che le vestigia e le leggende. A Ninive e Babilonia mito e realtà si fondono per secoli in un'unica grande tradizione, e solo l'orientalismo dell'Ottocento inizierà a collocare con puntualità il prodotto distorto di una stratificazione secolare. Alle due grandi capitali dell'impero assiro e babilonese, si è scelto poi di affiancare un ampio capitolo su Gerusalemme, che della Bibbia è la città santa.
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La prima parte del trattato è dedicata alle regole concernenti la più importante preghiera ebraica, lo Shemà. In particolare si trattano le regole che traggono origine dalla preghiera di Channà, la donna sterile che si recò al Santuario per pregare il Signore di concederle un figlio.
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Si fa un sogno o si ha un sogno? Nessun dubbio per Jung: la demiurgia del fare è del tutto sviante, dal momento che è il sogno a darsi invece al sognatore. "Il sogno ci è sognato. L'oggetto siamo noi". E quando ad avere un sogno è un bambino, l'enigma di questo accadimento mosso da una finalità inconscia sfida ancor di più chi lo deve decifrare. Compito in cui la psicologia analitica dispiega una sottigliezza degna del Talmud, mettendone a frutto la massima che identifica il sogno con la sua interpretazione. Vertiginoso negli scandagli mitologici e sapienziali, storico-religiosi, alchemici e letterari, il lavoro di Jung e dei suoi allievi durante il seminario degli anni 1936-41 scompone come in un gioco di pazienza un materiale onirico in genere riferito in età adulta, dopo essere rimasto impresso per decenni. Ogni minimo dettaglio, ogni sequenza, ogni figura simbolica comincia ad assumere significanza grazie alla forza radiale di un'immagine archetipica, che amplifica e potenzia laddove sentenzia Jung - il riduttivista Freud "porterebbe alla ribalta solo qualche piccola miseria".
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Talmud babilonese. Trattato Rosh haShanà. Testo ebraico a fronte.
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La matematica nella sua forma più pura, l'aritmetica come arte, raccontata nel suo sviluppo storico con precisione e passione letteraria. André Weil, tra i maggiori matematici del Novecento, ricostruisce in questo libro gli sviluppi della teoria dei numeri, cominciando da una tavoletta babilonese del tempo di Hammurabi, soffermandosi sull'opera del greco Diofanto e degli studiosi indiani, per concentrarsi poi soprattutto sull'esposizione dei risultati dei quattro autori che, tra Seicento e Ottocento, hanno fondato la moderna aritmetica: Fermat, Eulero, Lagrange, Legendre. È solo negli ultimi secoli, infatti, che questa disciplina - che nel Rinascimento era legata ancora alla numerologia - ha acquisito una propria autonomia specifica, slegandosi dall'analisi e dall'algebra.
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La speranza ritrovata è quella del popolo d'Israele, che - nonostante le sfide e le minacce degli avvenimenti di una storia difficile - è chiamato a cogliere in questa storia i segni dell'agire di Dio. L'autore, tra i massimi esperti di Bibbia e di divulgazione della Parola di Dio, continua in questo volume un percorso di rilettura delle figure principali dell'Antico Testamento iniziato con "La difficile fede", edito da Àncora nel 2002. Ora, prendendo in esame il periodo che va dall'esilio babilonese (587 a.C.) sino alle soglie della venuta di Cristo, affronta figure come Ezechiele, Giona, Giobbe, descrivendoli come modelli di speranza, rappresentanti di un "nuovo inizio" per il popolo ebraico.
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Pagine appena ingiallite. Per il resto libro ben tenuto. (Consigliato).
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I "Padri del mondo" sono tutti i maestri protagonisti della Mishnà, espressamente menzionati nel trattato che si intitola appunto Avot, i "Padri". Si presenta qui la prima traduzione in italiano della versione tradizionale della raccolta dei detti attribuita a Rabbi Natan, maestro babilonese del II-III secolo, che amplifica i detti dei Padri e si può considerare come un loro commento. Questo trattato extratalmudico offre al lettore un vero e proprio compendio della sapienza rabbinica e della sua trasmissione di generazioni in generazione. Un testo impregnato dell'amore per la Torà, scritta e orale, che è in grado di orientare ancora oggi la nostra vita, perché "su tre cose il mondo sta: sulla Torà, sul culto e sulle opere di misericordia".
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470 pagine.
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La filosofia, come è generalmente ritenuto, parla greco, tedesco, inglese, francese, italiano, ma secondo molti non parla egiziano, babilonese o sanscrito. Nella storia della filosofia, così come era intesa da un pensiero europeo ansioso di rivendicare l'esclusività delle proprie origini greche, all'India fu interdetto un posto di elezione nel campo dell'indagine critica tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Da allora, generazioni di studiosi delle tradizioni intellettuali nell'Asia meridionale hanno richiesto invano la revisione di un processo istruito ingiustamente contro un intero universo filosofico ai più del tutto sconosciuto. Dimostrando la totale infondatezza dei cliché che l'Occidente ha sempre riservato all'antica India, supposta troppo immersa nella sua religiosità per dare spazio alla formalità del pensiero filosofico, Vincent Eltschinger e Isabelle Ratié rivolgono l'attenzione non tanto alle tradizioni dottrinali indiane codificate, quanto a una serie di temi filosofici fondamentali che mostrano in tutta la loro ricchezza e varietà l'impresa razionale di problematizzazione, argomentazione logica e ricerca della verità che si fece strada nei primi mille anni della nostra era nell'Asia meridionale. L'accento posto su alcuni punti di cristallizzazione del dibattito indiano - il sé, l'idealismo, l'altro, la conoscenza, l'autorità, il linguaggio, la semantica, Dio, lo spazio e il tempo - costituisce la vera originalità dell'opera, che offre una comprensione della filosofia indiana per quello che fu nel suo contesto, senza cercare indebiti confronti con le altre filosofie, per non privarla del suo significato, della sua forza, della sua specificità e del suo fascino.
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Talmud babilonese. Trattato Rosh haShanà. Testo ebraico a fronte. Titolo: Talmud babilonese. Il Progetto Traduzione Talmud Babilonese è una Società consortile a responsabilità limitata (Searl) con soci il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Collegio Rabbinico Italiano.
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Talmud babilonese : trattato delle benedizioni. A cura di Sofia Cavalletti.
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